Gentile Direttore
Facendo seguito ad altri articoli comparsi sul suo giornale in merito al recente accordo firmato da FIMMG con Lega Coop, su cui hanno scritto sia il professor Cavicchi che la dr.ssa Mancin, mi viene da fare qualche considerazione che prende spunto dalla definizione di “mission” di un sindacato di categoria.
Ricopro un ruolo apicale in un organismo che ricordo, prima a me stessa, i Padri Costituenti scelsero di inserire in Costituzione per tutelarne la libertà e legittimarlo a difendere gli interessi dei lavoratori rappresentati, e anche di quelli che decidono di non farsi rappresentare da nessuno, all’ interno dei luoghi di lavoro. Quindi i sindacati sono previsti dal dettato costituzionale.
Ogni sindacato cerca, insieme alle tutele, di offrire servizi ai propri iscritti, ma quando un sindacato di tutela diventa esclusivamente un sindacato di servizi è chiaro che si è deragliato verso tentazioni imprenditoriali che, in maniera fin troppo pervasiva, stanno condizionando la stipula dei nostri contratti di categoria nel susseguirsi dei diversi Accordi Collettivi Nazionali degli ultimi dieci anni. Tutto questo ci sta portando verso una libera professione sempre più difficile da gestire per il singolo medico, sulle cui spalle, oggi, sono caricati tutti i rischi di impresa, con ben pochi utili e vantaggi, ma molti grattacapi sia di tipo amministrativo che organizzativo.
Qual è la soluzione offerta da FIMMG ai medici del terzo millennio? Trasformarsi in imprenditori o, alla lunga, per chi non sente il business come vocazione da perseguire in parallelo all’esercizio della nobile arte di Ippocrate, di diventare dipendente di un imprenditore?
D’ imprenditoria si occupa anche Enpam che si è offerta, “gentilmente”, di costruire o restaurare, con i soldi degli iscritti alla cassa, le cosiddette case della salute spoke date in comodato d’uso a gruppi di medici delle neo costituenti aggregazioni funzionali territoriali, nate nell’ultimo contratto. Si vuole per recepire una legge dello Stato, la cosiddetta Balduzzi, di ben 12 anni fa e quindi anacronistica rispetto al presente e al nostro recentissimo passato, a partire dalla pandemia.
Quando l’impresa italiana o estera che sia, sarà entrata, come già ha avuto accesso, nella gestione della sanità territoriale, per i medici di famiglia, che rappresentavano l’ultimo baluardo in difesa di un sistema pubblico equo ed universale ,non ci sarà più necessità di alcun sindacato , perché il contratto cooperativistico è preminente rispetto a contratto di lavoro, e la sanità non sarà più pubblica perché gli imprenditori, assumendosi il rischio di impresa, dovranno guadagnare, anche se il guadagno scaturisce dalla gestione della salute dei cittadini italiani.
Con questo patto si è aperta una porta alla dismissione di un altro assett strategico per il nostro Paese, al pari di altri che abbiamo svenduto a poche lire; mi riferisco alla sanità , alla salute e alla tutela dei lavoratori . Ma cosa succederà per chi ha scelto di fare il medico e basta?
In difesa di chi vuole fare il medico e basta non ci siamo sottratti, noi del Sindacato Medici Italiani, a ore di discussioni, in sede di trattative, per affermare l’importanza che gli studi dei medici di medicina generale quali presidi del Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo cercato di parlare di tutele, di pari opportunità, di riconoscimento dell’infortunio, di possibilità di part time, di riconoscimento dello straordinario, di necessità di una formazione specialistica universitaria per la medicina generale denunciando il grave rischio che le scuole di formazione regionale, gestite da chi ha la tessera sindacale giusta in tasca, magari adesso vengano affidate alle cooperative. Ma abbiamo ricevuto tanti “NIET”.
Una sanità pubblica non può prescindere dal ruolo pubblico dei medici che vi lavorano all’interno, dove per ruolo pubblico intendiamo sia un rapporto di lavoro dipendente che convenzionato che continui a prevedere un’interfaccia diretta tra l’Ente Pubblico e i suoi medici, senza necessità di intermediari. In questo senso abbiamo già visto come è andata a finire con i medici a gettoni negli ospedali.
Con il nuovo contratto appena firmato, 38 ore di lavoro nelle case di comunità e comunque l’obbligatorietà di apertura di uno studio esterno, non crediamo che molti giovani accetteranno di lavorare in un sistema che rende il lavoro del medico di medicina generale sempre più una corsa ad ostacoli. Allora saranno altri i soggetti che ricopriranno gli spazi lasciati vuoti a detrimento della salute dei cittadini. L’indipendenza, la capillarità, l’accessibilità dei MMG sono state le armi vincenti di un sistema pubblico che, producendo salute, ha realizzato benessere sociale e ricchezza e quelli della mia generazione, con orgoglio, hanno sentito l’appartenenza a questo servizio al pari di una medaglia al valore appuntata sul camice.
Ufficio Stampa