Gentile Direttore,
Milena Gabanelli, per spiegare la crisi dei Pronto Soccorso nella DATAROOM di ieri 16 settembre se la prenda ancora una volta con i medici di famiglia. Sostiene, infatti, che i medici medicina generale lavorano tre giorni a settimana, non rispondono al telefono e quando va bene quello che fanno è indirizzare i pazienti verso una visita specialistica. Non ci siamo proprio: questa descrizione non risponde alla realtà!
Premesso che un singolo medico non può farsi carico dei propri assistiti 24h al giorno 7 giorni su 7 (non sarebbe un uomo/donna normale, ma un essere bionico), premesso che i medici di Medicina generale non godono di ferie, maternità o malattia come gli altri lavoratori, ma quando si assentano devono trovare un sostituto – quando lo trovano, considerata la difficoltà a reperire medici – per assicurare la continuità del servizio, c’è da dire che, quando gli studi medici sono chiusi negli orari previsti dal Contratto Nazionale, entrano in funzione gli altri servizi territoriali: la guardia medica, il 118, gli Ambulatori di Cure primarie aperti un po’ a macchia di leopardo in più regioni, anche per sopperire alla carenza dei medici di famiglia che al Nord e in zone disagiate del centro Sud sono diventata non merce rara, ma merce impossibile da reperire, vedi i medici cubani “importati” in Calabria . Nulla per carità contro i medici di Cuba che saranno sicuramente molto preparati, ma c’è da dire che i titoli da loro acquisiti non corrispondono agli standard europei a cui l’Italia si è adeguata e la barriera linguistica, in un campo così delicato come quello medico, non è cosa da poco.
Ma lavorano così poco i medici di famiglia? Un medico di medicina generale di una grande città per l’anno 2023 ho avuto circa 15.000 contatti, emesso 30.000 ricette, senza contare i certificati di malattia, di invalidità, i rinnovi di piani terapeutici, visite domiciliari programmate ed occasionali, campagne vaccinali, modulistica varia, mail, messaggi, chiamate etc. etc. Lavoro svolto in front e back office, per almeno 45 ore a settimana. Non credo che ad un lavoratore si possa chiedere di più. Non lo si può chiedere alle donne medico che ormai rappresentano il 60% del personale sia sul territorio che in ospedale e che devono far combaciare tutto questo con la propria vita personale e familiare; a loro spetta il maggior carico per l’accudimento di figli piccoli, genitori anziani o nipoti, considerato l’allungamento dell’età pensionabile.
Nel 1980 nel nostro paese gli over 65 rappresentavano il 13,1% della popolazione e gli over 80 solo il 2,1%. L’Italia poteva contare su 922 posti letto per acuti ogni 100mila abitanti; oggi il 24% della popolazione ha più di 65 anni e di questi il 7,6% più di 80: i posti letto per acuti solo 275 per 100mila abitanti. Quindi è aumentata la domanda di salute per l’aumento progressivo dell’età media della popolazione italiana, ma allo stesso tempo c’è stata una forte contrazione dell’offerta sanitaria. Circa 100 ospedali chiusi in 20 anni; 80.000 posti letto per acuti in meno, tanti medici in meno. E chi ha deciso che la sanità pubblica era ascrivibile ad una voce di spesa da sforbiciare in tutte le situazioni, anziché considerarla uno degli asset strategici del paese, invece di fare mea culpa cerca di trovare il perfetto capro espiatorio. E allora chi meglio dei medici di famiglia?
Tutta colpa loro? Anche basta con questi spot di distrazione di massa. Cominciamo ad eliminare la burocrazia che strangola il lavoro dei medici, partendo col dare ai lavoratori la possibilità di autocertificarsi i primi tre giorni di malattia evitando così di intasare, con centinaia di migliaia di richieste certificative, le strutture sanitarie sia territoriali che ospedaliere, sottraendo risorse a chi necessita di assistenza medica vera. Depenalizziamo l’atto medico e diamo un taglio anche alla responsabilità civile se il medico è riconosciuto non colpevole in sede penale. Gli 11 miliardi spesi nella “medicina difensiva” potrebbero essere reinvestiti sulla salute delle persone. Reintroduciamo l’educazione alla salute, agli stili di vita sani e alla prevenzione sanitaria nelle scuole, nonché ad un uso corretto delle risorse sanitarie. Tagliamo le spese per armi destinandole alla sanità, pagando meglio i medici di famiglia e incentivando i giovani ad intraprendere la professione medica. Diamo la possibilità ai medici di medicina generale, con scelta volontaria, di passare a un rapporto di dipendenza per chi volesse essere dipendente del SSN anche per garantire maggiori tutele e diritti. Alla Gabanelli consigliamo di farsi un giro negli ambulatori per vedere, davvero, come lavorano i medici di famiglia.
Roma, 17 – 9- 2024