Perugia, 26 mag.- La lettera alla Presidente della Regione Umbria e alla Direttrice del Dipartimento Regionale della Salute dei corsisti del corso di formazione in medicina generale in Umbria in merito al fatto che nell’ultimo test d’ingresso abbiano accettato solo 16 medici su 45 posti messi a bando, segnala la grave crisi di vocazione che attraversa la professione di medico di famiglia nella nostra regione e non solo, così Maurizio Lucarelli, Segretario Regionale Umbria Sindacato Medici Italiani (SMI).
Le questioni poste dalla lettera dei corsisti sono condivisibili, tanto che quando apponemmo la firma tecnica all’ultimo Accordo Collettivo Nazionale (ACN) di medicina generale nel febbraio 2024 avevamo segnalato come la declinazione del nuovo contratto, penalizzasse i medici in formazione che avevano assunto incarichi provvisori e che rientravano col nuovo contratto. In pratica con 38 ore di lavoro sarebbero stati costretti comunque ad aprire uno studio in periferia e le 38 ore sono compatibili con 400 pazienti, quindi si tratterebbe di circa 45 ore di lavoro a settimana. Per le giovani colleghe, inoltre, che forse sono più attente alla qualità del lavoro e all’organizzazione personale se non era prevista l’opzione part time e non si riconosceva lo straordinario a chi lavora più di 38 ore si rendeva la medicina generale ancora meno attrattiva per loro. Il grande cambiamento nella composizione della professione medica, invece, deve tener conto, innanzitutto della condizione delle donne medico al fine di trovare risorse per garantire le tutele in materia di gravidanza e maternità. Più tutele sul lavoro (malattia e infortunio). Più previdenza e assistenza (non si può chiedere a nessuno, ma soprattutto alle donne di andare in pensione a 70 anni).
Il nuovo Ruolo Unico di Assistenza Primaria impone ai medici un’organizzazione rigida e insostenibile, costringendoli a svolgere contemporaneamente medicina di famiglia e continuità assistenziale, senza possibilità di scelta e ignorando carichi di lavoro, competenze specifiche e vita personale.
A tutto questo si sommano condizioni economiche sfavorevoli tanto che la professione è avvertita come meno remunerativa rispetto ad altre specializzazioni, con stipendi erosi all’inflazione e costi crescenti per la gestione degli studi medici.
Riteniamo che sia urgente che il Governo e le Regioni riconoscano la gravità e l’urgenza della situazione adottando misure concrete per rendere la professione di medico di famiglia nuovamente attrattiva, assicurando condizioni lavorative sostenibili, ma soprattutto abrogando al più presto l’obbligatorietà del ruolo unico in medicina generale.
Ufficio Stampa