Comunicato Stampa
È sbagliata la scelta della Regione  Veneto di voler assumere medici stranieri con titoli non riconosciuti in Italia! Ne va di mezzo la qualità delle cure dei cittadini!
Dichiarazione congiunta di 
Lora Liliana, Segretario Regionale SMI Veneto e Vice Segretario Vicario Nazionale;
Fabiola Fini, Vice Segretario Nazionale SMI;
Alberto Pozzi, Presidente SMI Veneto

Roma, 4 ago.- La  Giunta della Regione Veneto,  con un  provvedimento, dalla durata temporanea,  ha deciso di  assumere medici specialisti che hanno conseguito  titoli all’estero non ancora riconosciuti in Italia. Una soluzione che svilisce e discrimina profondamente il lungo impegno formativo obbligatorio a cui sono tenuti i medici italiani per esercitare la professione, con l’incognita  della qualità dell’assistenza e della sicurezza per il cittadino, con effetti imprevedibili sugli esiti di salute e le conseguenti possibili ricadute risarcitorie sulle aziende ospedaliere. Gli incontri tra Regione Veneto e i sindacati dei medici sull’Accordo Integrativo Regionale sono stati fermi per un anno e mezzo,  solo adesso si è riaperto un confronto, che non  riesce a colmare i ritardi accumulati. La scelta di utilizzare personale estero, con le caratteristiche qui evidenziate, è conseguente ai ritardi della Giunta Regionale Veneto;  per questo la riteniamo irrispettosa dei  professionisti del settore che non sono stati  ascoltati.
La Regione Veneto pare non aver nessun interesse a verificare la qualità di ciò che offre ai suoi cittadini. Basta tappare quei buchi assistenziali che essa stessa ha creato negli ultimi dieci anni per la mancanza  di una seria politica di programmazione sanitaria  e di organizzazione sulle strutture. Per gli ospedali non si sono sostituiti i pensionamenti, i colleghi sono stati obbligati a turni massacranti e a tempistiche di visita improponibili, lasciando andare il mancato adeguamento stipendiale. Tutte azioni che hanno fatto sì che molti specialisti scegliessero il privato o l’attività “a gettone” il cui costo sarebbe da confrontare con quello di un dipendente. Secondo stime IRES riferite al 2023 nel Veneto mancano circa 1300 medici ospedalieri e la gobba pensionistica in prospettiva rende il dato ancora più allarmante se si considera che l’età media del personale medico degli ospedali supera i 50 anni. Nel 2023 nel Veneto sono usciti 807 medici di cui la maggior parte in età inferiore a 50 anni per dimissioni definite ipocritamente inaspettate , cioè non per pensionamento né per malattia. Perché i medici se ne vanno dalla sanità pubblica ? Le motivazioni sono trasversali a tutti i contesti: burocratizzazione eccessiva del lavoro, stress lavoro correlato con crescente burnout, trattamenti economici inadeguati, insostenibilità dei tempi lavoro-famiglia, ambiti lavorativi insicuri con esposizione ad aggressioni fisiche e verbali, contenziosi legali crescenti.
Bisogna, per queste ragioni,  che  si metta fine  ad una politica avara con i medici e i dirigenti sanitari che operano nel sistema Sanitario Nazionale, categorie professionali che reggono un servizio che garantisce un diritto fondamentale, quale la tutela della salute dei cittadini, nonostante le condizioni di lavoro peggiori dell’ultimo decennio. L’attacco al lavoro negli ospedali ha tagliato prima i letti e poi i medici. L’allungamento delle liste di attesa e il sovraffollamento dei Pronto Soccorso, divenuti luoghi simbolo del fallimento di politiche sanitarie recessive, sono un dramma quotidiano che cittadini e professionisti affrontano costretti su fronti opposti. L’ospedale è diventato un luogo dove è difficile entrare, ma ancora più difficile uscire. Dobbiamo assolutamente ripensare ed adoperarci affinché l’organizzazione del lavoro, il rapporto pubblico-privato, i percorsi di carriera, i livelli retributivi nel nostro Paese, oggi tra i più bassi in Europa, incapaci di valorizzare meriti professionali e disagio lavorativo possano fare un salto in avanti, come pure completare la Legge 24/2017 sulla responsabilità professionale e procedere alla riconoscimento dello “scudo penale”.
Senza una politica di sostegno del personale ospedaliero e medico  l’affossamento del servizio sanitario pubblico sarà inevitabile. Chiediamo concrete politiche programmatorie e la cancellazione dei tetti di spesa in sanità  per salvaguardare l’universalità dell’acceso alle cure per tutti. 

Ufficio Stampa