Comunicato Stampa
“I tagli alla sanità ridurranno i medici di famiglia in Sardegna e in Italia. Entro 5 anni metà della popolazione non avrà un medico di famiglia!”
Dichiarazione di Luciano Congiu, Segretario Regionale Sindacato Medici Italiani Sardegna
Cagliari, 5 febb. – “I tagli alla sanità ridurranno i medici di famiglia in Sardegna e in Italia. È un’emergenza ormai all’ordine del giorno e nel mentre la formuliamo, moltissimi cittadini sardi subiscono già le pesanti conseguenze di una carenza di medici di medicina generale che interessa molte aree dell’isola. Secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) che ha redatto uno studio nazionale e per regioni, ipotizzando che in Sardegna, analizzando gli indicatori dei pensionamenti di medici e quelli delle assunzioni, si sta delineando uno scenario per prossimi sette anni (2022 -2028) che vede in uscita per limiti di età 719 medici, mentre i nuovi medici convenzionati dovrebbero essere solo 70 con un passivo di 649 unità. Il numero di medici attualmente operanti in Sardegna è di poco meno di 1000 (a fronte di una popolazione sarda di circa 1.400.000 abitanti in età non pediatrica). Per cui se andranno via più della metà dei medici di famiglia attualmente impegnati, non sostituiti dai nuovi medici, perché questi ultimi stanno scegliendo sempre più spesso altri tipi di impiego con migliori condizioni di lavoro e se questa tendenza non verrà invertita, con politiche serie ed efficaci, almeno metà della popolazione sarda rimarrà senza un medico di famiglia.
Questa è una prospettiva drammatica per il diritto alla salute dei cittadini sardi, perché la possibilità che si riduca notevolmente la presenza sul territorio degli ambulatori dei medici di famiglia rappresenterà la fine della medicina di prossimità, del Servizio Sanitario pubblico e universalistico. Dietro l’angolo ci aspettano soluzioni preparate nel corso di questi ultimi venti anni da politiche di privatizzazione e spoliazione della sanità pubblica. Non a caso, per esempio, in Veneto, in provincia di Padova, si affrontano le carenze dei medici di medicina generale di quella regione non tanto con scelte di sostegno alla professione, che favoriscano nuove assunzioni di giovani leve, ma bensì prevedendo l’impiego di medici di famiglia afferenti a società sanitarie private, con un costo medio di 50 euro a visita per i pazienti.
Come si è arrivati a tutto questo? Le ragioni sono tutte da ricercare nel continuo indebolimento del Servizio Sanitario Nazionale e cioè dello strumento che dovrebbe essere il garante del diritto dalla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione per tutte e tutti i cittadini del nostro paese.
Le cause che hanno determinato la crisi del SSN sono chiare e vanno ricercate nelle politiche sanitarie degli ultimi 20 anni che, nel tentativo di contrastare l’espansione del debito pubblico, hanno di fatto spostato il punto centrale e l’attenzione dell’azione politica dalla prevenzione e cura della persona, al taglio generalizzato dei costi e di conseguenza delle attività sanitarie e mediche.
Tagli lineari per anni (37 miliardi in un decennio), prevalentemente consistiti in riduzione di personale, hanno determinato una fragilità del sistema sanitario che ha rischiato di essere travolto dalla crisi pandemica anche per effetto delle diverse organizzazioni dei Servizi Sanitari Regionali. L’assalto al diritto alla salute si compie nel mentre avanza una crisi sociale ed economica che rischia di perdurare a causa del conflitto in Europa e di quello in Medio Oriente. Unico argine a questo disastro: il lavoro e il sacrificio, in troppi casi fino alle estreme conseguenze, delle professioniste e dei professionisti sanitari e medici. A questo quadro già a tinte fosche si aggiunge il progetto di Autonomia Differenziata. In particolare per la sanità l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. Il regionalismo differenziato in sanità legittimerà il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro, questo accade, proprio quando il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali.
Per queste ragioni abbiamo bisogno di una nuova stagione d’investimenti per la sanità pubblica, magari prendendo i soldi dai finanziamenti per le armi, perché la crisi di sostenibilità del SSN perdura da oltre 10 anni, aggravandosi con l’emergenza COVID-19. Occorre fermare il sotto-finanziamento, la carenza di personale per assenza di investimenti, la mancata programmazione e crescente demotivazione, l’incapacità di ridurre le diseguaglianze, mettere un freno all’inesorabile avanzata del privato, per garantire l’accesso a tutti i cittadini al nostro servizio sanitario pubblico, ridandogli, in questo modo, forza e dignità.
Ufficio Stampa