Comunicato Stampa
Una risposta a Milena Gabanelli sui medici di medicina generale
di Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani (SMI)
Roma, 23 settembre 2021
Gentile Dr.ssa Gabanelli, sono un medico di medicina generale (non “di base”, definirci così svilisce, già nel termine dispregiativo, il nostro lavoro) e Segretario Generale del Sindacato dei Medici Italiani, unico sindacato che ha tra i suoi iscritti sia medici dipendenti che convenzionati con il SSN.
Ho ascoltato con attenzione tutti i suoi interventi sulla medicina generale e mi dispiaccio, da medico e da rappresentante sindacale, che si sia partiti da un argomento importante come quello della formazione dei giovani medici per attaccare tutta la categoria.
È indubbio che la formazione vada riformata. Il Sindacato che rappresento e che, nei suoi ruoli dirigenziali, ha molti giovani medici, da anni ha proposto che la formazione in medicina generale diventasse una specializzazione, al pari degli altri paesi europei.
Il settore SMI giovani ha presentato ai diversi Ministri della Sanità e dell’Università e Ricerca Scientifica, nonché in varie audizioni pubbliche, le sue proposte anche perché fintanto che il ruolo del medico di famiglia viene percepito come di serie B, rispetto ad altri tipi di specializzazioni, non si colmerà mai il gap tra i pensionamenti in atto e l‘ingresso delle nuove leve.
Ad oggi sono circa un milione e mezzo gli italiani senza assistenza “di base”.
Ed è questo il vero problema.
Se la trasformazione del corso da formazione a specializzazione non c’è stata, è perché la politica ha peccato di mancanza di volontà. Lo affermo decisamente, soprattutto se ripenso agli interventi straordinari che sono stati attuati velocemente in questi 2 anni di pandemia. E la carenza di medici è un’emergenza vera, su questo la politica è in colpevole ritardo.
Sicuramente concordiamo che non vi debba essere nessun conflitto di interesse nella gestione della formazione e che il Sindacato deve svolgere il suo ruolo che è quello di sottoscrivere i contratti e difendere i diritti dei lavoratori (perché i medici sono lavoratori come tutti e non missionari come nell’ immaginario collettivo).
Qui veniamo alla seconda parte del suo intervento: le case di comunità e i 7 miliardi di investimenti previsti dal PNRR.
Sette miliardi non sono una gran cifra considerato che, in 20 anni, i miliardi sottratti alla sanità sono stati circa 40 e sono una cifra ancora più irrisoria se paragonata ai 210 miliardi di recovery plan in arrivo.
Come saranno spese questi risorse? In edilizia sanitaria? Nella costruzione delle case di comunità?
Spesa inutile perché sarebbero un duplicato dei distretti sanitari esistenti in cui, volendo, potrebbero essere inseriti i medici di medicina generale.
In passato abbiamo già sperimentato le Case della Salute che la stessa Agenas, nei quaderni monitor del 2012, ha bocciato in termini di obbiettivi e performance. Cercare di riproporle in altra salsa, sembra anacronistico, ma tant’è.
La storia ci ha abituati ai corsi ed ai ricorsi.
In queste case di comunità potrebbe essere impiegato solo un quarto dei medici di assistenza primaria attualmente operanti sul territorio italiano e tocca capire cosa si vuole fare dei restanti 34mila circa.
E non credo ci siano difficoltà a trovare medici di medicina generale disposti ad andare a lavorare come dipendenti nelle case di comunità.
E lo sa perché? Perché non si avrebbe più il problema di dover andare a lavorare dopo una seduta di chemioterapia, perché non si trova chi ti sostituisce in ambulatorio. Si usufruirebbe della malattia come fanno, giustamente, tutti i lavoratori dipendenti.
Non si avrebbe più il problema di dover assistere un figlio disabile o i genitori anziani avendo la possibilità di poter usufruire dei benefici della legge 104.
Con la dipendenza non saremmo state costrette, come lo siamo state, ad andare a lavoro con una gravidanza a rischio ed in piena pandemia perché tutti i colleghi di studio erano ammalati di covid.
Con la dipendenza i familiari dei colleghi deceduti per covid avrebbero avuto un equo indennizzo.
Con la dipendenza, dopo 2 anni trascorsi sulle barricate, avremmo potuto godere di 30 giorni di ferie come tutti i lavoratori, invece siamo stati costretti a continuare a lavorare per mancanza di sostituti o a sostituirci a vicenda e questo ha significato lavoro doppio.
Con la dipendenza, le donne medico che ormai rappresentano più della metà della professione, potrebbero decidere di lavorare part time per stare con i figli piccoli.
Oggi, invece, decidono di non fare più figli.
La verità è che non si parla di dipendenza se non in un dibattito puramente giornalistico; nessuna proposta è stata mai avanzata da nessun partito politico, né mai discussa in alcuna sede istituzionale.
Lo stesso dr. Mantoan da Lei intervistato ha affermato che i medici di medicina generale lavoreranno nelle case di comunità a quota capitaria.
Piuttosto è probabile che i Mmg diventeranno dipendenti di nuovi player privati.
Questa è una delle prospettive legate al principio di equivalenza e integrazione della legge Moratti in discussione in Lombardia che, come sappiamo, è una delle regioni che fanno da traino nella Conferenza delle Regioni.
Il dato emerge da uno studio esposto da Maria Elisa Sartor, docente del corso di Organizzazione Sanitaria e Sistemi di Rappresentazione delle Organizzazioni dei Servizi dell’Università di Milano, che studiando il fenomeno della privatizzazione della sanità lombarda, ha evidenziato come quest’ultima non sia più sussidiaria alla sanità pubblica, ma competitor, addirittura meglio finanziata e sostenuta e si è visto come il sistema lombardo abbia reagito alla pandemia.
Riporto integramente l’articolo pubblicato da una rivista del settore che tratta le opinioni di Sartor: ”La riforma introduce un “principio di equivalenza ed integrazione” tra pubblico e privato che pare aprire all’ingresso di operatori privati tra gli erogatori, includendo ospedali di comunità e case della salute finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cioè dai fondi dell’Unione Europea.
Nella riforma il privato ha potenziale semaforo verde per aziendalizzare servizi delle ASS, tra cui le cure primarie. I medici di famiglia potrebbero dover rispondere al budget di strutture private e non più a quello pubblico legato ai bisogni dei cittadini che li hanno scelti. Fanno bene a ribadire l’importanza del loro ruolo e a considerarsi centrali. Le persone hanno bisogno del medico di famiglia, di una figura le cui scelte non siano legate ad obiettivi economici”.
Se questa è la dipendenza da lei auspicata per noi è assolutamente no.
Siamo chiamati in questi giorni a sottoscrivere un accordo collettivo nazionale relativo ad un triennio già scaduto (2016 -2018) che non tiene conto della pandemia in atto, che è obsoleto sia dal punto di vista organizzativo che legislativo, non favorisce I ‘entrata dei giovani medici e continuerà a favorire l’esodo di chi lavora in quanto penalizzante dal punto di vista economico.
Per la prima volta si chiede a dei lavoratori di chiudere un contratto in diminuito. Già oggi vi sono colleghi che si licenziano da servizi essenziali come 118, guardia medica, pronto soccorso, reparti ospedalieri.
Studi medici di medicina generale chiudono dall’oggi al domani lasciando migliaia di cittadini senza servizi.
È questo argomento che dovrebbe essere portato all’attenzione degli italiani.
Poi per quel che riguarda la soddisfazione o l’insoddisfazione dei pazienti nei riguardi dei medici di medicina generale (cosa per la quale abbiamo sempre il dito puntato contro), ricordo sempre che siamo professionisti di libera scelta e veniamo quotidianamente valutati dai nostri assistiti che sono di fatto i nostri datori di lavoro. Un cittadino insoddisfatto può cambiare anche un medico al giorno se vuole.
Colgo l’occasione per ricordare che la metà dei 350 medici morti per covid sono medici di famiglia. Sono morti sul campo e le famiglie non hanno avuto alcun riconoscimento, sono stati eroi a costo zero.
Sembra chiaro l’intento di far sparire la medicina di famiglia come è oggi strutturata.
Ma l’alternativa qual è? È questo che interessa ai cittadini.
Intanto i bandi per la formazione e quelli delle zone carenti per ricoprire il ruolo di medici di guardia medica e medici di famiglia vanno deserti.
Se si guadagna tantissimo per lavorare solo 15 ore a settimana (così si dice), si è chiesta perché nessuno vuole più fare questo lavoro e quelli che possono scappano?
Ufficio Stampa