Comunicato Stampa
Covid: La Regione Friuli e il Dipartimento di Igiene e Prevenzione non raccolgono l’appello di aiuto dei medici di medicina generale
Dichiarazione di Domenico Montalbano, Segretario Regionale del Friuli del Sindacato Medici Italiani (SMI)
Trieste 12 genn. “ Intendiamo informare la cittadinanza della difficile situazione in cui si trovano i medici di assistenza primaria, cioè i medici di famiglia. In questo periodo d’intensissimo lavoro che per la sua complessità non può prescindere da una costante e quotidiana collaborazione tra tutti i livelli interessati. Siamo, invece, totalmente inascoltati dagli enti preposti, nella fattispecie ASUGI, Dipartimento di Igiene e Prevenzione (DIP) e Regione” così Domenico Montalbano, Segretario Regionale del Friuli del Sindacato Medici Italiani (SMI), in una dichiarazione.
“I medici di famiglia stanno sostenendo, accanto al nostro lavoro quotidiano che la pandemia non ha certamente reso più facile, un carico di lavoro burocratico che non è il loro e ciò penalizza fortemente l’assistenza sanitaria pazienti, e disperde l’ energie di donne e uomini medici costringendoci, di fronte al caos e dell’incertezza normativa ed al silenzio istituzionale, ad inventare soluzioni per poter dare risposte al bisogno di altre persone”.
“Abbiamo più volte richiesto un incontro urgente con il DIP per concordare i chiarimenti necessari sulle modalità di lavoro riguardante la parte certificativa, soprattutto di fronte alle confuse disposizioni su quarantene e tamponi, per capire cosa possiamo fare secondo legge e secondo il nostro Accordo Collettivo Nazionale. Questi chiarimenti su “chi fa”, su “cosa si deve e si può fare”” e “quali sono i tempi certi in cui si fa” sono essenziali per tutti i cittadini ma in particolare per i lavoratori.
Si tratta di certificazioni necessarie ed insostituibili affinché i lavoratori possano essere pagati per la loro assenza lavorativa che, ricordiamo, è obbligatoria. Ma sono certificazioni fondamentali anche per i datori di lavoro che chiedono tempi certi per il rientro del lavoratore.
Un ritardo di questo sistema, ritardo che oramai è strutturale, si riflette inevitabilmente sulle famiglie e su tutto il sistema sociale e produttivo.
I pazienti (quelli che se lo possono permettere) nonostante sia un diritto sancito dallo Stato per la salute pubblica (esenzione PO1) si trovano costretti a pagarsi i tamponi nei laboratori privati e nelle farmacie, perché il pubblico non garantisce loro in tempi congrui i tamponi stessi.
Una delle ragioni di questo collasso è che i medici di famiglia della nostra regione, fin dall’inizio della pandemia non possono prescrivere con l’esenzione prevista (P01) la richiesta del tampone, ma possono solo segnalare il paziente al Dipartimento di Igiene e Prevenzione con una mail: a questo punto si entra in un circuito assurdo in cui il paziente deve solo aspettare senza poter interagire con la struttura. La cosa più grave è che nemmeno i rispettivi medici di famiglia hanno la possibilità di interagire con il Dipartimento.
“È vero che la normativa demanda solamente al dipartimento di igiene e prevenzione l’apertura e la chiusura delle quarantene ed il provvedimento di isolamento.
Ma per svariati motivi, non solo dovuti alla gravità della pandemia, questo compito viene svolto con grande difficoltà e pesanti ritardi dal Dipartimento. I pazienti, allora, si accalcano negli studi medici, tempestando di telefonate e chiedendo notizie e risposte che i medici non possiamo dare.
Mancano figure autorevoli di riferimento dal DIP, non disponiamo di contatti telefonici dedicati a cui rivolgerci, ci troviamo a inventare soluzioni a seconda delle diverse situazioni, riceviamo minacce da pazienti perché non chiudiamo le quarantene, riceviamo solleciti da datori di lavoro e via dicendo. È difficile spiegare che i certificati di guarigione dal Covid che sono di ESCLUSIVA competenza del DIP, non possono essere rilasciati da noi.
A livello aziendale mancano le figure di riferimento a supporto dei medici e dei pazienti da loro seguiti. Si organizzano conferenze stampe per gli ospedali, a pieno diritto, ma non si tiene conto che non vi sono solo pazienti COVID ospedalizzati, non ci sono solo gli accessi in pronto soccorso, ma il COVID c’è anche fuori dell’ospedale. Non si deve dimenticare poi che esistono tutti gli altri pazienti, compresi quelli con malattie croniche che, se non curate, contribuiscono anche alla maggior mortalità da COVID.
Chiediamo attenzione per i nostri pazienti, per i medici e per il territorio dove si sta giocando una guerra silenziosa perché oramai solo gli ospedali, anche se a pieno diritto, fanno notizia.
Non si considera che la stragrande maggioranza degli infetti, asintomatici o con pochi sintomi, sta in quarantena al proprio domicilio o nelle strutture ove è il medico di medicina generale ad accedervi.
Si vuole mettere sotto silenzio il territorio, non riconoscendo o addirittura sminuendo l’enorme lavoro fatto ed il ruolo di prima linea dei medici di famiglia. Se i medici in ospedale rappresentano le truppe specializzate, i medici di medicina generale sono la fanteria, la vera ossatura di un esercito.
Siamo in pochi. Mancano infatti medici di medicina generale e quelli della Continuità Assistenziale (Guardia Medica). Difficile a crederci, ma a Capodanno a Trieste, c’era in servizio una solo medico, sui normali 8 medici.
Non stanno meglio le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) cioè i colleghi che assistono a domicilio gli ammalati di COVID che dovrebbero essere almeno in quattro per ogni turno di servizio. Di fronte a queste forti criticità e alle continue domande di aiuto cosa risponde ASUGI? E la Regione? “Si rivolga al suo medico di famiglia! “conclude Montalbano.
Ufficio Stampa