Rassegna Stampa – 25 Gennaio 2019

Rassegna Stampa SMI – 25 Gennaio 2019

DDL ANTIVIOLENZA – FIMEUC: “RIVEDERE LE RACCOMANDAZIONI MINISTERIALI SULLA SICUREZZA DEGLI OPERATORI SANITARI E DEI PAZIENTI”.
Audizione della Federazione Italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi in commissione Igiene e Sanità. “Per contrastare i fenomeni di violenza contro i medici e i sanitari, occorre prevedere maggiori poteri per le guardie giurate con funzioni di fermo, disarmo ed identificazione in H 24 all’interno dei Pronto Soccorso e nell’assistenza agli equipaggi di emergenza sanitaria per-ospedaliera in caso di necessità e nelle sedi di Continuità Assistenziale”.

ROMA 23 Gennaio 2019 – “Il Sistema della emergenza urgenza a 25 anni dalla sua istituzione dal 1992 rappresenta ancora il punto di riferimento che offre una risposta sanitaria ai cittadini con patologie tempo dipendenti, a quelli con altre condizioni cliniche acute a rischio evolutivo, ma anche alle nuove tipologie di utenti (poveri, anziani, migranti) che non trovano altrove una risposta adeguata alla loro sofferenza reale o percepita” così esordisce Fabiola Fini, Presidente della FIMEUC (Federazione Italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi) all’audizione alla Commissione Sanità del Senato sul DDL 867 DdL antiviolenza per le esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.
“Abbiamo segnalato, ai senatori della Commissione Sanità di Palazzo Madama, che la FIMEUC condivide i contenuti dell’articolo 1 del DdL 867, che istituisce l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e le funzioni ad esso attribuite. Per quanto riguarda, invece, l’articolo 2, nonostante l’integrazione dell’articolo 61 del codice penale, con il numero 11-septies, finalizzata ad introdurre un’aggravante per chi commette il fatto con violenza o minaccia a danno degli esercenti le professioni sanitarie, ancora, a nostro avviso, non si garantisce l’automaticità della denuncia e la certezza della pena” continua Fini.
“La FIMEUC ritiene necessario per fronteggiare il problema della sicurezza per il personale sanitario che si parta dalla revisione ed aggiornamento delle raccomandazioni ministeriali sulla sicurezza degli operatori sanitari e dei pazienti. Dall’emanazione di disposizioni sulle buone pratiche per i Direttori Generali delle aziende e degli enti del SSN. Dalla predisposizione di corsi di formazione per gli operatori sulla gestione degli episodi di violenza, per identificare precocemente i segni del rischio di violenza e disinnescare un’escalation di violenza. Dal lancio di una campagna di sensibilizzazione sui media sul tema della violenza contro i medici e i sanitari”, continua la nota.
“Allo stesso tempo, per contrastare i fenomeni di violenza contro i medici e i sanitari, occorre prevedere maggiori poteri per le guardie giurate con funzioni di fermo, disarmo ed identificazione in H 24 all’interno dei Pronto Soccorso e nell’assistenza agli equipaggi di emergenza sanitaria per-ospedaliera in caso di necessità e nelle sedi di Continuità Assistenziale. L’istituzione del drappello di polizia nei grandi ospedali o in quelli localizzati in territorio a rischio. L’obbligo da parte della azienda sanitaria, unica responsabile della sicurezza del proprio personale, di costituirsi parte civile nei processi di aggressione agli operatori. Risorse per l’impiego di tecnologie e la ristrutturazione nei luoghi di lavoro finalizzati alla sicurezza (telecamere, vie di fuga, porte e saracinesche blindate, confort per utenza e visitatori, etc.). Fondi destinate al rinnovo degli accordi lavoro, ai contratti e convenzioni, alle assunzioni del personale sanitario per garantire la copertura e qualità dei servizi del SSN. Programmazione adeguata per le immatricolazioni alla facoltà di Medicina e Chirurgia e per le borse di Studio per le Specializzazioni in particolare per la specializzazione in Emergenza-Urgenza”.
“Tra le proposte della FIMEUC illustrate al Senato per l‘ AS 867 vi è anche quella di un aumentare il personale per ridurre i tempi di attesa del cittadino. Quindi, condividiamo l’emendamento all’art.9 del Decreto Semplificazione per accesso ai concorsi senza specializzazione ma con esperienza lavorativa di 4 anni in pronto soccorso purchè – ha ribadito la Presidente Fini, l’emendamento accolga la proposta della Federazione di estensione del requisito di accessibilità ai medici dell’emergenza preospedaliera e preveda per tutti l’obbligo formativo di conseguire la specializzazione in medicina di emergenza urgenza nei successivi 5 anni dall’assunzione in modalità sovranumeraria, senza retribuzione e senza interruzione di servizio”.
“Notizie provenienti dagli ambienti del Senato fanno, invece, intravedere una probabile approvazione di un testo del tutto deludente ovvero senza l’estensione dell’accessibilità al concorso ai medici dell’emergenza pre-ospedaliera e senza l’obbligo di conseguire dopo il concorso la specializzazione. La FIMEUC ribadisce, anche in una situazione di grave carenza negli organici come quella attuale, non si possa prescindere dal percorso formativo. L’emendamento così come proposto dalla FIMEUC va nella direzione nell’individuazone del medico unico dell’emergenza, che provvisto del titolo di specializzazione legittimamente potrà svolgere la sua funzione sia nel contesto ospedaliero sia in quello preospedaliero a garanzia del cittadino utente”, conclude.

Fonte: Quotidiano Sanità – Link.
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MEDICI, URGENZA, CONTRO AGGRESSIONI PIU’ POTERI GUARDIE GIURATE. PRESIDENTE FIMEUC IN AUDIZIONE AL SENATO
ROMA 23 Gennaio 2019 – “Maggiori poteri alle guardie giurate con funzioni di fermo, disarmo ed identificazione” e “presidi di polizia negli ospedali maggiori o in quelli in aree piu’ a rischio”. In questo modo, secondo la Federazione Italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi (Fimeuc), si possono contrastare i fenomeni di violenza contro i medici. A spiegarlo oggi la presidente Fabiola Fini, nel corso dell’audizione in Commissione Sanita’ del Senato sul ddl 867 che mira ad arginare gli episodi di violenza ai danni degli operatori sanitari. Tra le proposte della Fimeuc, anche quella di un aumentare il personale nei pronto soccorso per ridurre i tempi di attesa del cittadino. “Condividiamo l’emendamento all’art.9 del Decreto Semplificazione che prevede l’accesso ai concorsi a personale senza specializzazione ma con esperienza lavorativa di 4 anni in pronto soccorso”, ha ribadito Fini. Ma questo, ha aggiunto, a condizione che “l’emendamento preveda per tutti l’obbligo formativo di conseguire la specializzazione in medicina di emergenza urgenza nei successivi 5 anni dall’assunzione in modalita’ sovranumeraria”.
Fonte: ANSA
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DDL AGGRESSIONI: CONTINUANO LE AUDIZIONI AL SENATO
Sumai: «Asl denuncino d’ufficio». SIVeMP: «Veterinari operino in equipe». Si studiano le misure per fronteggiare l’ondata di violenze contro gli operatori sanitari. Il segretario Sumai Antonio Magi: «Il più delle volte infatti, il medico aggredito non denuncia per vergogna, per rassegnazione, ma anche per paura». Il Fimeuc (Emrgenza – Urgenza): «Serve formare personale per gestire situazioni.
Mentre non si fermano le aggressioni a camici bianchi e operatori sanitari, come avvenuto nelle ore scorse a Gallarate in provincia di Varese, la politica continua a lavorare per arrivare a una legge risolutiva su questo tema. Si parte dal testo del governo, il Ddl 867 recante ‘Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni’, con l’obiettivo di migliorarlo accogliendo le indicazioni dei professionisti della sanità.
Oggi la Commissione presieduta da Pierpaolo Sileri ha ascoltato Antonio Magi, Segretario generale del Sumai Assoprof, Aldo Grasselli e Angela Vacca del SIVeMP, Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica, e Fabiola Fini, Presidente della FIMEUC.
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SUMAI ASSOPROF: SERVE PROCEDIBILITA’ D’UFFICIO DA PARTE DELLE AZIENDE
Secondo Magi la soluzione è quella di «prevedere la procedibilità d’ufficio da parte delle Aziende Sanitarie» anche perché, continua Magi, sarebbe uno «strumento di tutela nei confronti del sanitario che spesso, per paura, non denuncia. Inoltre le Aziende sanitarie dovrebbero costituirsi parte civile nei processi di aggressione con il proprio personale in quanto le aziende sanitarie sono le responsabili della sicurezza dei propri dipendenti».
Anche per Magi è insufficiente quanto previsto dall’articolo 2 del Ddl sulle «circostanze aggravanti per chi commette violenza o minaccia operatori sanitari nell’esercizio delle loro funzioni», è insufficiente in quanto non solleva le vittime dall’onere di denunciare i loro aggressori. «Elemento questo – ha aggiunto il segretario degli specialisti ambulatoriali – che può rappresentare un pesantissimo condizionamento psicologico per la paura di subire ritorsioni. Il più delle volte infatti, il medico aggredito non denuncia per vergogna, per rassegnazione, ma anche per paura, se minacciato dagli aggressori».
Magi nel corso dell’audizione ha inoltre ricordato di quali i campanelli d’allarme che un operatore sanitario dovrebbe tener conto per prevenire un atto di violenza; quali i luoghi “preferiti” per le aggressioni ovvero i Pronto Soccorso, gli ambulatori e il 118; la tipologia delle aggressioni e infine anche i costi degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari che si riverberano sulla collettività: oltre 30 milioni solo nel 2017.
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SIVEMP: ATTIVITA’ DEI VETERINARI SIANO SVOLTE IN EQUIPE
Il Segretario nazionale del SIVeMP Aldo Grasselli e la Referente Nazionale Osservatorio Intimidazioni, Angela Vacca, hanno riportato ai senatori le specificità della professione del medico veterinario di sanità pubblica – il cui operato ha ricadute dirette o indirette sugli interessi economici e commerciali degli operatori della filiera agroalimentare e zootecnica – rispetto agli altri professionisti della sanità, che erogano assistenza ai pazienti.
Per contrastare il fenomeno delle intimidazioni e delle aggressioni ai Veterinari pubblici il disegno di legge 867, il SIVeMP chiede che le attività istituzionali dei veterinari pubblici presso le aziende zootecniche e alimentari siano svolte in equipe, soprattutto nei territori a rischio. Nei casi in cui l’ASL ometta di garantire tale organizzazione degli interventi nelle zone a rischio si dovrebbe configurare una responsabilità oggettiva del datore di lavoro.
«Solo con questa misura si può scongiurare il tentativo, sempre più rilevante in certi territori, di rifiutare i controlli sanitari, delegittimare l’azione di sanità pubblica sino a procurare danni e lesioni fisiche e psicologiche al personale che opera per conto dell’Autorità sanitaria competente. Riteniamo che questo sia un intervento con carattere d’urgenza da far adottare dai livelli regionali e aziendali, ai fini della salvaguardia e dell’incolumità dei veterinari», ha detto Angela Vacca.
Il SIVeMP ritiene necessario prevedere la presenza di una rappresentanza sindacale dei veterinari nell’Osservatorio e utile l’inserimento della circostanza aggravante per chi commette violenza o minaccia gli operatori sanitari.
FIMEUC: AGGIORNARE RACCOMANDAZIONI MINISTERIALI SU SICUREZZA
Fabiola Fini, Presidente della FIMEUC – Federazione Italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi, condivide i contenuti dell’articolo 1 del DdL 867, che istituisce l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e le funzioni ad esso attribuite.
Insufficiente invece l’aggravante prevista dall’articolo 2. Per FIMEUC è necessaria partire dalla «revisione e dall’aggiornamento delle raccomandazioni ministeriali sulla sicurezza degli operatori sanitari e dei pazienti. Dall’emanazione di disposizioni sulle buone pratiche per i Direttori Generali delle aziende e degli enti del SSN. Dalla predisposizione di corsi di formazione per gli operatori sulla gestione degli episodi di violenza, per identificare precocemente i segni del rischio di violenza e disinnescare un’escalation di violenza. Dal lancio di una campagna di sensibilizzazione sui media sul tema della violenza contro i medici e i sanitari». E poi ancora «maggiori poteri per le guardie giurate con funzioni di fermo, disarmo ed identificazione in H 24 all’interno dei Pronto Soccorso e nell’assistenza agli equipaggi di emergenza sanitaria per-ospedaliera in caso di necessità e nelle sedi di Continuità Assistenziale. L’istituzione del drappello di polizia nei grandi ospedali o in quelli localizzati in territorio a rischio. L’obbligo da parte della azienda sanitaria, unica responsabile della sicurezza del proprio personale, di costituirsi parte civile nei processi di aggressione agli operatori. Risorse per l’impiego di tecnologie e la ristrutturazione nei luoghi di lavoro finalizzati alla sicurezza (telecamere, vie di fuga, porte e saracinesche blindate, confort per utenza e visitatori, etc.). Fondi destinate al rinnovo degli accordi lavoro, ai contratti e convenzioni, alle assunzioni del personale sanitario per garantire la copertura e qualità dei servizi del SSN. Programmazione adeguata per le immatricolazioni alla facoltà di Medicina e Chirurgia e per le borse di Studio per le Specializzazioni in particolare per la specializzazione in Emergenza-Urgenza».
Fonte: Sanità Informazione – Link
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SALERNO LA STORIA DI UNA VERTENZA IN DIFESA DEL SALARIO DEI MEDICI 
Roma 23 Gennaio 2019 – Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Giancarlo Petrosino, Segretario Aziendale A.O.U. di Salerno dello SMI-FVM, relativa a una vertenza sindacale in difesa del salario dei medici della dirigenza sanitaria 
Gent.le Direttore, nell’aprile del 2011 mi sono trasferito dall’AORN Moscati di Avellino, all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno, in qualità di Anestesista-Rianimatore.
Giunto a Salerno, mi rendo conto che anche qui l’Azienda sta commettendo un illecito, poiché trattiene il 5% della tariffa oraria prevista dall’art. 14 comma 6) del CCNL 03/11/2005, retribuendo con E. 57 lordi/ora (invece di E. 60/ora) il lavoro effettuato in regime di A.L.P.I. intraziendale, cioè le cosiddette prestazioni aggiuntive che l’Azienda può richiedere ai propri dipendenti per garantire prestazioni essenziali o ridurre le liste d’attesa.
Chiedo, sia a voce sia per iscritto, più volte chiarimenti e spiegazioni in merito sia ai colleghi sindacalisti (e non) sia alla Direzione Aziendale, e ovviamente le giustificazioni fornitemi sono assolutamente fuori dalla legge: all’inizio mi rispondono anche i colleghi sindacalisti (di altri sindacati) ”il 5% compete all’Azienda – lo dice il Contratto” – oppure “c’è un accordo sindacale che sancisce questo prelievo” e quando chiedo in quale articolo del contratto oppure di mostrarmi quest’accordo, nessuno riesce a farmi vedere alcunché!
L’Azienda, da parte sua, ribadisce che questa trattenuta è prevista dal contratto, ed esiste il regolamento per la libera professione intramuraria che a sua volta lo prevede, quindi per loro la questione è chiusa ed io sono soltanto un “seccatore” anche male informato!
Purtroppo, nonostante le mie ripetute lettere e perfino diffide a non effettuare questa trattenuta e a restituire quanto fino a quel momento sottratto, per tutto il 2011 il 2012, l’Azienda ha sempre fatto orecchie da mercante.
A metà del 2012, dietro mie insistenze, finalmente l’ennesimo nuovo Direttore Generale dell’epoca richiede addirittura un parere all’ARAN circa la liceità di questa trattenuta; a fine 2012 la risposta dell’Aran conferma (anche se in linguaggio alquanto “burocratese”) quanto io sostenevo da circa due anni, anche contro l’opinione degli illustri colleghi sindacalisti!
La direzione aziendale a quel punto fa sospendere la trattenuta del 5% sulle prestazioni richieste da allora in poi, e addirittura fa restituire a tutti i medici dell’Azienda metà del 5% trattenuto nel 2012 , non potendo recuperare tutto il denaro poiché non si capiva bene chi avesse preso in Azienda questo 5% ed in cassa, al momento, non c’erano tutti i soldi necessari!
Non mi sono fermato e, nonostante io dovessi avere soltanto una piccola parte del 2012 e poche ore effettuate nella seconda metà del 2011 (ho preso servizio il primo aprile 2011), a nome del sindacato ho sempre richiesto la restituzione della trattenuta effettuata negli anni passati, fin dal novembre 2005, per tutti i colleghi dipendenti dell’Azienda.
Coinvolgo, dopo numerose riunioni, circa 30 colleghi (per l’esattezza siamo 32 in totale) e diamo mandato allo studio legale di adire le vie legali, nel corso del 2016 e presentiamo l’atto di citazione in giudizio presso il Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno.
Il 17 gennaio 2019, sciogliendo la riserva che aveva avanzato, il giudice emana la sentenza in cui ci da ragione per la restituzione della trattenuta del 5% anche per gli anni dal 2006 al 2012; adesso dobbiamo attendere i 60 giorni entro i quali il giudice ci farà conoscere le motivazioni di tale sentenza e la somma, comprensiva di interessi e rivalutazione secondo legge, che ogni ricorrente dovrà ricevere (dai nostri calcoli, si va da un minimo di circa 3000 euro ad un massimo di circa 13000 euro per ogni ricorrente).
Questo è il “breve” resoconto di una storia di una vertenza sindacale in difesa del salario dei medici della dirigenza sanitaria che ha portato il nostro sindacato SMI-FVM, attraverso la mia attività, a ottenere il giusto riconoscimento delle nostre richieste, sempre tese al rispetto del contratto e dei diritti dei colleghi che si affidano a noi e che delegano a rappresentarli.
Giancarlo Petrosino
Segretario Aziendale A.O.U. di Salerno dello SMI-FVM
Fonte: Responsabile Civile – Link
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FORMAZIONE MMG SMI: “IL MINISTRO GRILLO RENDA PUBBLICI I QUESTIONARI DEI CONCORRENTI PER CORRETTEZZA E TRASPARENZA”.
Il Sindacato dei medici italiani scrive al Ministro Giulia Grillo chiedendo di rendere pubblico il questionario di accesso al corso di formazione in Medicina Generale e di chiarire le modalità di organizzazione del prolungamento di sei mesi dei termini per lo scorrimento della graduatoria. LA LETTERA.
Roma 23 Gennaio 2019 – Il Sindacato dei medici italiani – Settore formazione e prospettive, torna sulla questione dei test di ammissione al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale (CFSMG) con una lettera aperta al ministro della Salute Giulia Grillo, chiedendo “la pubblicazione del questionario sottoposto ai candidati, accompagnato dalle relative griglie contenenti le risposte corrette. Solo in questo modo, infatti, ai candidati sarà permesso avere un raffronto coerente della loro posizione in graduatoria”. La pubblicazione dei questionari è invece prevista per l’accesso alle Scuole di Specializzazione Medica (SSM).
Il sindacato chiede da tempo il passaggio della prova di esame dal formato cartaceo al formato digitale: “Con questa modalità, infatti, si avrebbe una celere pubblicazione delle graduatorie, garantita dalla modalità di correzione in real time. Inoltre, il questionario digitale comporterebbe una riduzione degli errori di correzione e, conseguentemente, eviterebbe l’insorgenza di incresciose situazioni quale quella che, in questi giorni, sta coinvolgendo i medici concorrenti in alcune Regioni del nostro Paese.”.
Inolre, la mancanza di un unico e chiaro percorso formativo e la notevole discrepanza di trattamento economico “hanno contribuito negli ultimi anni ad aumentare il numero di rinunce al CFSMG in favore della Scuole di Specializzazione. Tutto ciò talora a discapito di chi la Medicina Generale l’avrebbe scelta per vocazione e comportando perdita di contratti, attualmente giù insufficienti a coprire il reale fabbisogno di medici di Assistenza Primaria”.
A tal proposito viene accolta favorevolmente la proroga di 180 giorni al termine ultimo per l’assegnazione di posti resisi vacanti per cancellazione, rinuncia, decadenza o altri motivi. In tal senso, il sindacato chiede però delucidazioni sulle “modalità di organizzazione dei corsi in virtù di un ingresso degli aventi diritto che potrebbe essere spalmato in un lasso di tempo di 6 mesi e di chiarirci le modalità con le quali verranno versati gli emolumenti, ai rinunciatari, ai non rinunciatari e a chi subentrerà entro i termini dello scorrimento”.
Fonte: Quotidiano Sanità – Link
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CORRIRE DELLA SERA 7 – UN BORGHESE PICCOLO E POVERO?
L’economia traballa. Gli stipendi non crescono, il costo della vita e le occasioni di spesa sì. Viaggio nella classe media italiana che arranca: impiegati, insegnanti, medici, quadri aziendali. In Europa va meglio? Pare di sì.

Cosa hanno in comune il ragionier Ugo Fantozzi, il “borghese piccolo piccolo” di Vincenzo Cerami e Mario Monicelli, il medico della mutua Guido Tersilli/Alberto Sordi? Con le dovute differenze, facevano tutti parte della cosiddetta classe media. Una definizione che, dal dopoguerra in poi, ha raccontato la parte più rilevante della popolazione italiana. Segni particolari: un lavoro sicuro, buona retribuzione, stipendio fisso con aumenti periodici, carriera lineare, magari iniziata e finita nella stessa azienda. E obiettivi di vita tangibili: un appartamento di proprietà, un’auto, cena fuori, cinema o teatro almeno una volta alla settimana, vacanze. Per i più fortunati, seconde case al mare o in montagna. Oggi, in Italia, la classe media si sta liquefacendo. Impiegati, professionisti, insegnanti, hanno visto diminuire il loro potere d’acquisto: gli stipendi non crescono, il costo della vita sì. I figli guadagnano meno dei padri, anche se fanno il loro stesso mestiere. E pure i padri, all’occasione ammortizzatori sociali dei figli, guadagnano sempre meno. Solo una sensazione? No. Il rapporto del Censis sulla nostra situazione socio economica, pubblicato a dicembre, ha fotografato un Paese «impoverito e incattivito», dove i salari dal 2000 al 2017 sono aumentati di 400 euro all’anno, contro i 5mila euro di aumento medio della Germania e i 6mila euro della Francia. La crisi della classe media non è un’opinione. Esiste. È uno dei temi più cavalcati dai populisti di tutto il mondo e l’Italia non fa eccezione. Per capirlo bastano i numeri e le testimonianze. Secondo il rapporto Ocse sul mercato del lavoro, tra il 2016 e il 2017 i salari italiani sono scesi dell’1,1 percento rispetto a una crescita media dello 0,6 percento degli altri Paesi. Un calo che viene attribuito alla stagnazione della produttività, alla disoccupazione, ancora tra le più alte d’Europa, e ai tanti lavoratori con basso reddito e contratti a termine.
DUE INSEGNANTI
Pietro Bertino, 52 anni, genovese, da 20 anni insegna italiano, storia e geografia. Ha una cattedra alla scuola media di Cornigliano, il quartiere del ponte Morandi. Guadagna 1.300 euro netti al mese e il suo stipendio è bloccato da nove anni per il mancato rinnovo del contratto di categoria. «Non mi ritengo nemmeno più classe media», commenta, «mi definirei un diversamente proletario». Lavora 18 ore alla settimana a cui, in un anno, se ne aggiungono 80 tra assemblee, consigli di classe e colloqui. «Insegno in una scuola con molti alunni stranieri e diverse situazioni complicate», racconta. «Vado ben oltre la spiegazione della mia materia, ricevo i genitori fuori dall’orario scolastico. A volte mi sembra di fare pure lo psicologo». Anche sua moglie è insegnante e ha, più o meno, lo stesso stipendio. Hanno tre figli tra i 20 e i 25 anni. «Fino a 15 anni fa con due entrate fisse non avevamo problemi a concederci qualche cena fuori tutti insieme o una vacanza. Oggi un’uscita di denaro imprevista di 200/300 euro, un guasto all’automobile o a un elettrodomestico, può diventare un problema. La scorsa estate siamo stati a trovare mio figlio che lavora all’estero, iniziamo a rientrare della spesa solo ora». Quanto guadagnano i colleghi del professor Bertino nel resto d’Europa? Dando uno sguardo ai rapporti Ocse e Eurydice viene da dire: «Sicuramente di più». In Lussemburgo, estremo positivo, un insegnante di scuola secondaria, con 15 anni di anzianità, ha un reddito annuo di 94.299 euro lordi. In Germania 61.744, il doppio dell’Italia, in cui si ferma a 30.654 euro. Peggio di noi solo Grecia, Ungheria, Repubblica Ceca, Estonia e Lettonia, dove l’introito annuale è fermo a 7.395 euro. In un ambito importante come l’istruzione, gli stipendi bassi non sono un problema solo per chi li riceve. «Stiamo subendo una delegittimazione sociale», conclude Bertino. «Oggi pochi giovani vogliono davvero insegnare. Ormai è un ripiego per chi non riesce a fare altro. Questo si ripercuote sulla qualità del sistema scolastico. Ci perdono tutti: insegnanti e alunni».
IN UNIVERSITÀ
Non va meglio all’Università. La retribuzione mensile netta di un giovane ricercatore oscilla tra i 1.300 e i 1.700 euro netti al mese. Un coetaneo francese riceve più o meno la stessa busta paga, ma ha una carriera più veloce. Uno tedesco percepisce 2.300 euro netti al mese, uno spagnolo 2mila. Tornando in Italia, un professore associato guadagna tra i 2.200 e i 2.700 euro, un ordinario tra i 3.300 e i 4mila euro. Questi stipendi sono gli stessi da sette anni. In Paesi come la Francia il percorso per diventare ordinario è molto più rapido, in Svizzera e in Olanda uno studioso contratta il suo ingaggio direttamente con l’università, come un libero professionista, e può arrivare a guadagnare oltre 200mila euro all’anno. L’ingegner Maurizio Masi, 59 anni, è professore di Chimica al Politecnico di Milano. Parla con entusiasmo della sua carriera, ma ammette: «Oggi un collega ordinario ha uno stipendio medio di 3.000 euro, una volta era di quattro milioni di lire e permetteva uno stile di vita ben diverso. Anche io sento la differenza. Il problema, però, non è solo privato. L’aspetto più grave di questo blocco dei compensi, e di un sistema poco meritocratico, è la perdita di attrattiva dell’Università e della ricerca italiana. Ci lasciamo scappare i nostri cervelli e non riusciamo a richiamarne dall’estero. Persino i ricercatori di Paesi molto poveri iniziano qui la carriera e poi tornano a casa, dove hanno stipendi più bassi sulla carta, ma con maggiore potere d’acquisto. Un professore in Pakistan o in Turchia vive da ricco, in Italia, in una città come Milano, fatica a far quadrare i conti».
I NOSTRI MEDICI
E i medici? Cosa succede a una professione che per anni è stata sinonimo di benessere economico nell’immaginario italiano? «In confronto alla situazione generale non ci possiamo lamentare», dice Pina Onotri, 59 anni, romana, medico di famiglia e segretario generale dello SMI, Sindacato Medici Italiani. «Oggi un medico dipendente o convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale guadagna tra i 70mila e gli 80mila euro lordi all’anno, ma dall’inizio del blocco dei contratti nel 2008 a oggi, ognuno ha perso in media tra i 20 e i 30mila euro a causa dei mancati scatti di carriera e degli straordinari non pagati». «A causa della stagnazione retributiva e di quella dei turnover», aggiunge, «abbiamo dai 14mila ai 20mila medici in meno. Questo si traduce in turni sempre più impegnativi a fronte di uno stipendio invariato». Come medico di famiglia con circa 1.200 mutuati, Onotri guadagna 5.000 euro lordi al mese, ma di questi, spiega, tra affitto, tasse, segreteria e eventuali sostituzioni, gliene rimangono in tasca meno della metà. «Mentre studiavo», ricorda, «lavoravo come impiegata e mi sentivo ricchissima. Le mie possibilità economiche di 30 anni fa erano migliori di quelle di adesso, nonostante ora abbia un lavoro più qualificato. È vero, i dottori possono esercitare la libera professione, ma non è scontato riuscire ad affermarsi in quel settore e avere guadagni soddisfacenti». Quali potrebbero essere i Paesi europei più interessanti per un giovane medico? «Come sistema la Francia e l’Inghilterra, come carriera l’Olanda, dove un medico può arrivare a guadagnare anche 20mila euro lordi al mese».
Maria C., anestesista di 34 anni, ha scelto invece Monaco di Baviera, Germania. «Qui, per specializzarsi, non ci sono concorsi e graduatorie. Il lavoro si trova mandando curriculum agli ospedali», spiega. «Il mio primo stipendio, a 26 anni, era di 2.500 euro netti (un omologo italiano ne prende 1.600 ndr). Ognidue anni ci sono scatti contrattuali fissi. Oggi guadagno circa 5.100 euro al mese, ho un buon tenore di vita, anche se Monaco è una città cara. Per comprare casa mi hanno dato una mano i miei genitori. La vera differenza con l’Italia è che qui, in ambito lavorativo, è tutto più fluido e semplice». Confrontando le storie ci si accorge che in Italia non sono solo le paghe a essersi contratte, ma anche la qualità stessa del mestiere svolto, le possibilità di crescita personale e di carriera, la stabilità contrattuale. Tutti fattori che concorrono a migliorare stile di vita, prospettive e consapevolezza di sé.
IN AZIENDA
«La Svezia viene vista come un paradiso per il lavoro e il welfare», racconta Stefano Dell’Orto, ingegnere di 48 anni, oggi manager di un’importante azienda del settore energetico, a Stoccolma dal 2005, padre di due bambine. «Non è sempre così, ovviamente, gli stipendi sono più alti (quello medio è di 22mila corone, 2.100 euro ndr), ma anche il costo della vita e le tasse vanno di pari passo. Non esistono però contratti atipici. Non c’è divario tra i salari di uomini e donne. Tutte le categorie professionali possono permettersi una casa di proprietà, una macchina e una vita dignitosa. Ci sono grandi aiuti statali per chi ha figli. Esiste la meritocrazia: se sei in gamba, a 40 anni diventi manager». Sara N., 35 anni, esperta di Marketing e Comunicazione, a Londra è diventata manager a 32 anni. «Dopo la laurea ho fatto un breve stage non retribuito, poi ho trovato un lavoroda 28.000 pound netti l’anno, circa 30.000 euro, per 12 mensilità». Non moltissimo per gli standard della capitale britannica. «È vero», conferma, «basta pensare che ai tempi pagavo una stanza in affitto 800 sterline (900 euro). Però nel giro di un paio di anni ho quasi raddoppiato il mio stipendio, cambiato due aziende, avuto un ruolo di responsabilità. Ho chiesto e ottenuto due aumenti in tre anni, fino ad arrivare a guadagnare 62mila sterline nette all’anno (70mila euro)». Sara ammette che, anche con queste entrate, non c’era grande margine per accumulare risparmi. «Avevo molte uscite fisse, ma, per scelta, non mi negavo cene, viaggi, shopping e corse in taxi». Il rientro in Italia è stato una doccia fredda. «Sono tornata perché mio marito è stato trasferito qui», spiega. «Sapevo che avrei trovato un mercato del lavoro ben diverso da quello che avevo conosciuto in Inghilterra, ma sono rimasta stupita. In negativo». A Sara sono stati offerti posti da 20 -25mila euro netti all’anno, con contratti a termine, alcuni anche a sei mesi. «Ho pensato che, per quelle cifre, non valeva la pena sprecare la mia professionalità, costruita in tanti anni di gavetta. Io ho un marito, ma una persona sola come fa a a costruirsi un futuro con un livello tale di precariato e con stipendi così bassi? Per trovare il posto che ho oggi, a tempo indeterminato, con contratto e retribuzione da quadro, ci ho messo più di un anno».
CETO MEDIO ADDIO?
La liquefazione del ceto medio, dei suoi guadagni, del suo potere d’acquisto è uno spettacolo triste, sintomo del malessere di un Paese fermo, che non minaccia solo contratti e retribuzioni, ma anche talenti, creatività, cultura e servizi. Lo hanno sottolineato più volte anche gli intervistati di questa inchiesta: la contrazione degli stipendi è insieme una questione privata e pubblica. Come ci siamo arrivati? «È stato un percorso lungo. Si è rotto il meccanismo che ha portato i rappresentanti delle professioni liberali, i commercianti, i piccoli imprenditori e gli artigiani a diventare classe di mezzo», analizza il sociologo Aldo Bonomi. «Prima c’era un sistema di crescita condivisa, la ricchezza si distribuiva tra i vari ceti. Oggi è nelle mani di pochi. Si è rotto l’ascensore sociale». «I flussi di capitale sono diversi», prosegue, «tutti concentrati tra finanza, internet e reti di trasporto». Ci sarà ancora una classe media in futuro? «Difficile dirlo, sicuramente sarà diversa da quella che abbiamo conosciuto. L’idea di benessere economico non è più legata al salario fisso. Oggi se un giovane vuole diventare ricco pensa a fare una start-up. Non tutti però ci riescono. I genitori della middle class novecentesca si ritrovano con figli che ambiscono a professioni di cui ignorano l’esistenza. E, alla fine, non è detto che staranno meglio dei loro padri».
Fonte: Corriere della Sera – Link
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DE SEMPLIFICAZIONI. FIMEUC A GRILLO: “ESTENDERE ACCESSO SENZA SPECIALIZZAZIONE A MEDICINA D’EMERGENZA ANCHE A CHI HA LAVORATO SUL TERRITORIO”.
Il presidente della Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza e delle Catastrofi scrive al Ministro per segnalare le criticità contenute nel decreto all’esame del Senato. “Va però detto che questa esperienza lavorativa ospedaliera o pre-ospedaliera, se pur preziosa dal punto di vista dell’esperienza e del servizio prestato, riteniamo non possa sostituirsi ad un percorso formativo strutturato e previsto per legge per tutte le specialità del sistema sanitario nazionale”.
24 GEN – L’accesso ai concorsi per la disciplina di Medicina e Chirurgia d’accettazione e d’ Urgenza dei medici senza specializzazione, che abbiano maturato quattro anni di servizio nei servizi ospedalieri, senza prevedere una adeguata successiva formazione specialistica intesa come “Debito formativo”, pone gravi preoccupazioni”. È quanto scrive la presidente della Fimeuc, Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza e delle Catastrofi, Fabiola Fini in una lettera al Ministro della Salute, Giulia Grillo sui contenuti dell’emendamento all’articolo 9 del decreto Semplificazione.
La Federazione ritiene “che l’esperienza di 4 anni lavorativi nell’emergenza urgenza, anche quando maturata nel servizio pre-ospedaliero e non solo nei pronto soccorso, debba avere analogo e giusto riconoscimento. Da qui ne deriva la necessità di estendere quanto previsto dall’emendamento all’articolo 9, anche ai medici dell’emergenza pre-ospedaliera”.
In ogni caso Fini rileva “che questa esperienza lavorativa ospedaliera o pre-ospedaliera, se pur preziosa dal punto di vista dell’esperienza e del servizio prestato, riteniamo non possa sostituirsi ad un percorso formativo strutturato e previsto per legge per tutte le specialità del sistema sanitario nazionale. Riteniamo vada condivisa la finalità di tale emendamento, ovvero garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nell’ambito del sistema di emergenza urgenza ma, nel lungo termine potrebbe comportare la compromissione e la qualità ed omogenità se negli anni successivi all’assunzione questi medici non venissero in possesso del titolo di specializzazione”.
“Le ricordiamo – evidenzia Fini – Ministro che per nessuna altra disciplina, che pur presenti analoghe carenze negli organici, hanno mai trovato soluzioni alternative alla specializzazione e che già oggi il sistema di emergenza, forse per la giovane età, essendo nata solo nel 2006, paga lo scotto di eccessive equipollenze ed affinità e la presenza di un corso di formazione regionale per i medici dell’emergenza pre-ospedaliera che, pur nella complessità del lavoro che svolgono, non possono ancora avvalersi, a 30 anni dalla istituzione del sistema di emergenza, della specializzazione in emergenza urgenza”.
“Ferma restando – conclude la presidente Fimeuc – la necessità di un aumento del numero delle borse di studio di specializzazione, a partire da quest’anno e per i prossimi anni, la Fimeuc ritiene che le modifiche suggerite all’emendamento vada a colmare il ruolo formativo di chi negli ultimi anni ha operato senza titolo nei PS e sui mezzi di soccorso ed indicano la strada per il reclutamento del medico unico dell’emergenza che non può non prevedere il requisito della specializzazione”.
Fonte: Quotidiano Sanità – Link
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DL SEMPLIFICAZIONI: “LETTERA AL MINISTRO GRILLO”.
Roma 24 Gennaio 2019 – “Cortese Ministro Giulia Grillo, la Fimeuc, Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza e delle Catastrofi vuole sollecitare la Sua attenzione sui contenuti dell’emendamento all’articolo 9 del decreto Semplificazione. L’accesso ai concorsi per la disciplina di Medicina e Chirurgia d’accettazione e d’ Urgenza dei medici senza specializzazione, che abbiano maturato quattro anni di servizio nei servizi ospedalieri, senza prevedere una adeguata successiva formazione specialistica intesa come Debito formativo, pone gravi preoccupazioni. La Federazione ritiene che l’esperienza di 4 anni lavorativi nell’emergenza urgenza, anche quando maturata nel servizio pre-ospedaliero e non solo nei pronto soccorso, debba avere analogo e giusto riconoscimento. Da qui ne deriva la necessita’ di estendere quanto previsto dall’emendamento all’articolo 9, anche ai medici dell’emergenza pre-ospedaliera. Va pero’ detto che questa esperienza lavorativa ospedaliera o pre-ospedaliera, se pur preziosa dal punto di vista dell’esperienza e del servizio prestato, riteniamo non possa sostituirsi ad un percorso formativo strutturato e previsto per legge per tutte le specialita’ del sistema sanitario nazionale. Riteniamo vada condivisa la finalita’ di tale emendamento, ovvero garantire la continuita’ nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nell’ambito del sistema di emergenza urgenza ma, nel lungo termine potrebbe comportare la compromissione e la qualita’ ed omogenita’ se negli anni successivi all’assunzione questi medici non venissero in possesso del titolo di specializzazione. Le ricordiamo Ministro che per nessuna altra disciplina, che pur presenti analoghe carenze negli organici, hanno mai trovato soluzioni alternative alla specializzazione e che gia’ oggi il sistema di emergenza, forse per la giovane eta’, essendo nata solo nel 2006, paga lo scotto di eccessive equipollenze ed affinita’ e la presenza di un corso di formazione regionale per i medici dell’emergenza pre-ospedaliera che, pur nella complessita’ del lavoro che svolgono, non possono ancora avvalersi, a 30 anni dalla istituzione del sistema di emergenza, della specializzazione in emergenza urgenza. Ferma restando la necessita’ di un aumento del numero delle borse di studio di specializzazione, a partire da quest’anno e per i prossimi anni, la Fimeuc ritiene che le modifiche suggerite all’emendamento vada a colmare il ruolo formativo di chi negli ultimi anni ha operato senza titolo nei PS e sui mezzi di soccorso ed indicano la strada per il reclutamento del medico unico dell’emergenza che non puo’ non prevedere il requisito della specializzazione”. Lo scrive la Fimeuc, Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza in una nota stampa.
Fonte: Ag. Stampa Dire.
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MEDICI DELL’EMERGENZA SCRIVONO A GIULIA GRILLO “PENSI ANCHE A NOI!”.
Lettera della Fimeuc al Ministro della Salute

La Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza e delle Catastrofi (Fimeuc) scrive al Ministro della Salute Giulia Grillo per chiedere l’allargamento ai medici di settore dell’emendamento all’art. 9 del Decreto Semplificazione. A scendere in campo è la presidente del sodalizio Fabiola Fini.
Ecco la missiva inviata al ministro.
Cortese Ministro Giulia Grillo,
la Fimeuc, Federazione Italiana Medicina d’Emergenza Urgenza e delle Catastrofi vuole sollecitare la Sua attenzione sui contenuti dell’emendamento all’articolo 9 del decreto Semplificazione.
L’accesso ai concorsi per la disciplina di Medicina e Chirurgia d’accettazione e d’ Urgenza dei medici senza specializzazione, che abbiano maturato quattro anni di servizio nei servizi ospedalieri, senza prevedere una adeguata successiva formazione specialistica intesa come “Debito formativo”, pone gravi preoccupazioni.
La Federazione ritiene che l’esperienza di 4 anni lavorativi nell’emergenza urgenza, anche quando maturata nel servizio pre-ospedaliero e non solo nei pronto soccorso, debba avere analogo e giusto riconoscimento.
Da qui ne deriva la necessità di estendere quanto previsto dall’emendamento all’articolo 9, anche ai medici dell’emergenza pre-ospedaliera.
Va però detto che questa esperienza lavorativa ospedaliera o pre-ospedaliera, se pur preziosa dal punto di vista dell’esperienza e del servizio prestato, riteniamo non possa sostituirsi ad un percorso formativo strutturato e previsto per legge per tutte le specialità del sistema sanitario nazionale.
Riteniamo vada condivisa la finalità di tale emendamento, ovvero garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nell’ambito del sistema di emergenza urgenza ma , nel lungo termine potrebbe comportare la compromissione e la qualità ed omogenità se negli anni successivi all’assunzione questi medici non venissero in possesso del titolo di specializzazione.
Le ricordiamo Ministro che per nessuna altra disciplina, che pur presenti analoghe carenze negli organici, hanno mai trovato soluzioni alternative alla specializzazione e che già oggi il sistema di emergenza, forse per la giovane età, essendo nata solo nel 2006, paga lo scotto di eccessive equipollenze ed affinità e la presenza di un corso di formazione regionale per i medici dell’emergenza pre-ospedaliera che, pur nella complessità del lavoro che svolgono, non possono ancora avvalersi, a 30 anni dalla istituzione del sistema di emergenza, della specializzazione in emergenza urgenza.
Ferma restando la necessità di un aumento del numero delle borse di studio di specializzazione, a partire da quest’anno e per i prossimi anni , la Fimeuc ritiene che le modifiche suggerite all’ emendamento vada a colmare il ruolo formativo di chi negli ultimi anni ha operato senza titolo nei PS e sui mezzi di soccorso ed indicano la strada per il reclutamento del medico unico dell’emergenza che non può non prevedere il requisito della specializzazione.
Il Presidente FIMEUC – Fabiola Fini
Fonte: Asso Care News – Link.
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DDL AGGRESSIONI: CONTINUANO LE AUDIZIONI IN SENATO.  
Sumai: «Asl denuncino d’ufficio». SIVeMP: «Veterinari operino in equipe». Si studiano le misure per fronteggiare l’ondata di violenze contro gli operatori sanitari. Il segretario Sumai Antonio Magi: «Il più delle volte infatti, il medico aggredito non denuncia per vergogna, per rassegnazione, ma anche per paura». Il Fimeuc (Emrgenza – Urgenza): «Serve formare personale per gestire situazioni».

Mentre non si fermano le aggressioni a camici bianchi e operatori sanitari, come avvenuto nelle ore scorse a Gallarate in provincia di Varese, la politica continua a lavorare per arrivare a una legge risolutiva su questo tema. Si parte dal testo del governo, il Ddl 867 recante ‘Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni’, con l’obiettivo di migliorarlo accogliendo le indicazioni dei professionisti della sanità.
Oggi la Commissione presieduta da Pierpaolo Sileri ha ascoltato Antonio Magi, Segretario generale del Sumai Assoprof, Aldo Grasselli e Angela Vacca del SIVeMP, Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica, e Fabiola Fini, Presidente della FIMEUC.
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SUMAI ASSOPROF: SERVE PROCEDIBILITA’ D’UFFICIO DA PARTE DELLE AZIENDE
Secondo Magi la soluzione è quella di «prevedere la procedibilità d’ufficio da parte delle Aziende Sanitarie» anche perché, continua Magi, sarebbe uno «strumento di tutela nei confronti del sanitario che spesso, per paura, non denuncia. Inoltre le Aziende sanitarie dovrebbero costituirsi parte civile nei processi di aggressione con il proprio personale in quanto le aziende sanitarie sono le responsabili della sicurezza dei propri dipendenti».
Anche per Magi è insufficiente quanto previsto dall’articolo 2 del Ddl sulle «circostanze aggravanti per chi commette violenza o minaccia operatori sanitari nell’esercizio delle loro funzioni», è insufficiente in quanto non solleva le vittime dall’onere di denunciare i loro aggressori. «Elemento questo – ha aggiunto il segretario degli specialisti ambulatoriali – che può rappresentare un pesantissimo condizionamento psicologico per la paura di subire ritorsioni. Il più delle volte infatti, il medico aggredito non denuncia per vergogna, per rassegnazione, ma anche per paura, se minacciato dagli aggressori».
Magi nel corso dell’audizione ha inoltre ricordato di quali i campanelli d’allarme che un operatore sanitario dovrebbe tener conto per prevenire un atto di violenza; quali i luoghi “preferiti” per le aggressioni ovvero i Pronto Soccorso, gli ambulatori e il 118; la tipologia delle aggressioni e infine anche i costi degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari che si riverberano sulla collettività: oltre 30 milioni solo nel 2017.
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SIVEMP: ATTIVITA’ DEI VETERINARI SIANO SVOLTE IN EQUIPE
Il Segretario nazionale del SIVeMP Aldo Grasselli e la Referente Nazionale Osservatorio Intimidazioni, Angela Vacca, hanno riportato ai senatori le specificità della professione del medico veterinario di sanità pubblica – il cui operato ha ricadute dirette o indirette sugli interessi economici e commerciali degli operatori della filiera agroalimentare e zootecnica – rispetto agli altri professionisti della sanità, che erogano assistenza ai pazienti.
Per contrastare il fenomeno delle intimidazioni e delle aggressioni ai Veterinari pubblici il disegno di legge 867, il SIVeMP chiede che le attività istituzionali dei veterinari pubblici presso le aziende zootecniche e alimentari siano svolte in equipe, soprattutto nei territori a rischio. Nei casi in cui l’ASL ometta di garantire tale organizzazione degli interventi nelle zone a rischio si dovrebbe configurare una responsabilità oggettiva del datore di lavoro.
«Solo con questa misura si può scongiurare il tentativo, sempre più rilevante in certi territori, di rifiutare i controlli sanitari, delegittimare l’azione di sanità pubblica sino a procurare danni e lesioni fisiche e psicologiche al personale che opera per conto dell’Autorità sanitaria competente. Riteniamo che questo sia un intervento con carattere d’urgenza da far adottare dai livelli regionali e aziendali, ai fini della salvaguardia e dell’incolumità dei veterinari», ha detto Angela Vacca.
Il SIVeMP ritiene necessario prevedere la presenza di una rappresentanza sindacale dei veterinari nell’Osservatorio e utile l’inserimento della circostanza aggravante per chi commette violenza o minaccia gli operatori sanitari.
FIMEUC: AGGIORNARE RACCOMANDAZIONI MINISTERIALI SU SICUREZZA
Fabiola Fini, Presidente della FIMEUC – Federazione Italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi, condivide i contenuti dell’articolo 1 del DdL 867, che istituisce l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e le funzioni ad esso attribuite.
Insufficiente invece l’aggravante prevista dall’articolo 2. Per FIMEUC è necessaria partire dalla «revisione e dall’aggiornamento delle raccomandazioni ministeriali sulla sicurezza degli operatori sanitari e dei pazienti. Dall’emanazione di disposizioni sulle buone pratiche per i Direttori Generali delle aziende e degli enti del SSN. Dalla predisposizione di corsi di formazione per gli operatori sulla gestione degli episodi di violenza, per identificare precocemente i segni del rischio di violenza e disinnescare un’escalation di violenza. Dal lancio di una campagna di sensibilizzazione sui media sul tema della violenza contro i medici e i sanitari». E poi ancora «maggiori poteri per le guardie giurate con funzioni di fermo, disarmo ed identificazione in H 24 all’interno dei Pronto Soccorso e nell’assistenza agli equipaggi di emergenza sanitaria per-ospedaliera in caso di necessità e nelle sedi di Continuità Assistenziale. L’istituzione del drappello di polizia nei grandi ospedali o in quelli localizzati in territorio a rischio. L’obbligo da parte della azienda sanitaria, unica responsabile della sicurezza del proprio personale, di costituirsi parte civile nei processi di aggressione agli operatori. Risorse per l’impiego di tecnologie e la ristrutturazione nei luoghi di lavoro finalizzati alla sicurezza (telecamere, vie di fuga, porte e saracinesche blindate, confort per utenza e visitatori, etc.). Fondi destinate al rinnovo degli accordi lavoro, ai contratti e convenzioni, alle assunzioni del personale sanitario per garantire la copertura e qualità dei servizi del SSN. Programmazione adeguata per le immatricolazioni alla facoltà di Medicina e Chirurgia e per le borse di Studio per le Specializzazioni in particolare per la specializzazione in Emergenza-Urgenza».
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