Comunicato Stampa
La riforma della medicina territoriale è al bivio: investire sul ruolo e sulla professionalità dei medici per salvare il Servizio Sanitario Nazionale
Dichiarazione di Pina Onotri, Segretario Generale Sindacato Medici Italiani (SMI)
Roma, 3 giug. “In questi mesi, con la discussione in merito al Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) siamo partiti dall’assunto, tenendo conto dell’esperienza della pandemia, che ormai l’evoluzione delle cure territoriali, nell’ottica di una migliore e più performante offerta sanitaria alla cittadinanza, omogenea dal Nord al Sud del paese, non può più prescindere da maggiori tutele per i professionisti” così Pina Onotri, Segretario Generale Sindacato Medici Italiani dopo l’annuncio del Ministro Speranza che sono stati firmati i contratti istituzionali di sviluppo della sanità con tutte le Regioni e le Province previsti dal PNRR.
La medicina generale non può più fare a meno d’investimenti sulle pari opportunità considerato che, per la prima volta, nel 2019, è stato certificato un sorpasso dele donne medico nella categoria. In questo senso, se parliamo di rapporto a tempo pieno (38 ore a settimana) non possiamo non parlare di rapporto di lavoro a tempo parziale (anche nell’ottica dei tempi di conciliazione vita/lavoro), e non possiamo non parlare di plus orario.
Si parte dal presupposto che i medici di medicina generale debbano lavorare in parte a quota capitaria ed in parte a quota oraria, il che ci trova d’accordo tranne che per la premessa: il debito orario che i medici devono assolvere nei confronti della ASL/distretto/ case di comunità non può essere calcolato sulle ore di apertura studio (max 15 h secondo convenzione) ma sul carico assistenziale di ciascun medico (medico a 1500 scelte o a doppio incarico, 650 pazienti/24 h di CA, lavorano 40 h a settimana, calcolate come da convenzione anche se per difetto).
Per il ruolo unico è necessario studiare un meccanismo di equivalenza flessibile scelte/ore con la possibilità di optare anche solo per un rapporto orario che andrebbe regolamentato con un contratto che ricalcasse quello della specialistica ambulatoriale, prevedendo le relative tutele. Reintroducendo la possibilità per il personale convenzionato per la medicina generale di poter lavorare a quota oraria all’interno di strutture distrettuali/case di comunità si andrebbero ad implementare settori strategici della medicina dei servizi come la medicina scolastica, strettamente connessa alla prevenzione ed all’educazione sanitaria, l’attività nei SERT, la medicina necroscopica, l’attività nei servizi distrettuali di igiene e prevenzione (SISP), drammaticamente sguarniti come la pandemia in corso ha evidenziato, l’attività nei servizi integrati di assistenza domiciliare.
Basterebbe riaprire le assunzioni nell’area, stabilizzando anche personale precario modificando il decreto legislativo 502/92 che porta ad esaurimento il ruolo del personale convenzionato all’interno delle strutture.
Lavorare, invece, a quota capitaria nelle case di comunità non ci trova d’accordo. Chiediamo di essere retribuiti con quota capitaria per il carico assistenziale e con quota oraria per le attività in struttura. La quota capitaria va valorizzata a fronte di compiti ben specifici da declinare nel nuovo contratto che presto si dovrà discutere, inglobando, nell’ottica di una migliore organizzazione offerta alla cittadinanza, incentivi per l’informatizzazione e l’assunzione di personale, elemento imprescindibile per un migliore funzionamento degli spoke. Per quanto riguarda, invece, la parte variabile dello stipendio va ridotta in quanto soggetta alle diponibilità economiche delle regioni, il che determinerebbe anche una disomogeneità dell’offerta nei confronti della cittadinanza.
La parte variabile dovrebbe andare ad incrementare un fondo economico, secondo quanto previsto dalla legge e i cui residui restano nel fondo stesso o possono essere spostati in altri fondi contrattuali dei medici convenzionati, con modalità previste da norme contrattuali. Inoltre, è importante che il soggetto che contratta gli obiettivi e gli specifici indicatori per la medicina generale, sia tenuto esso stesso al raggiungimento degli stessi obiettivi. Non escludiamo che i MMG possano essere coordinatori dei team multiprofessionali e multidisciplinari in quanto responsabili del percorso diagnostico-terapeutico del paziente.
Solo valorizzando chi lavora si potranno evitare i prepensionamenti e la fuga all’estero dei giovani medici ponendo così, almeno in parte, riparo alla carenza drammatica di medici di medicina generale che ha determinato la mancata assistenza primaria per circa tre milioni di italiani, la chiusura di moltissime postazioni di continuità assistenziale e la demedicalizzazione delle ambulanze.
Ufficio Stampa