Comunicato Stampa
Treccani. Parità di genere in medicina e in sanità
“Medica e chirurga: non è questa la parità di genere a cui puntiamo!”
Dichiarazione di Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani (SMI)
Roma, 14 sett. – “Medica e chirurga: non è questa la parità di genere a cui puntiamo!” così Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani, commenta la decisone della Treccani di lemmatizzare nel nuovo dizionario della lingua italiana aggettivi e nomi femminili.
“Avere semplicemente il cambio di una vocale che sancisce una declinazione al femminile non ci basta. In medicina e in sanità siamo ancora all’anno zero in tema di pari opportunità”.
“Non si vuole prendere atto che le donne medico rappresentano ormai il 60% della professione, con punte del 75% nelle regioni del nord del Paese. In nessun contratto nazionale, né tanto meno in nessun provvedimento legislativo, è presente per le professioniste un riferimento ai tempi di conciliazione, alle pari opportunità, al sostegno alla genitorialità e all’handicap”.
“Per l’area della medicina convenzionata è previsto il pensionamento a 70 anni con grosse penalizzazioni economiche per chi decide di interrompere prima. Non si può andare in pensione a 70 anni. È inumano! Non si tiene conto, in questo modo, del ruolo sociale e familiare che le donne svolgono in questo Paese. In una situazione dove non esiste welfare e servizi alle famiglie sono le donne a farsi carico di problematiche e anche della disabilità di un familiare”.
“Per queste ragioni auspichiamo che la parte pubblica metta all’ordine del giorno una discussione, con i sindacati di categoria, in merito all’organizzazione del lavoro dei medici sia in ambito ospedaliero che territoriale. Bisogna finirla con la narrazione istituzionale che i medici lavorano solo tre ore al giorno e in virtù di questo, dare nuovi compiti aggiuntivi senza contrattualizzarli. Abbiamo bisogno, invece, che si cominci a discutere di part-time, tutele, tempi giusti di conciliazione per venire incontro ai carichi familiari e sociali”.
“Bisogna partire dal riconoscimento dalla tutela della maternità e della gravidanza, soprattutto se non dimentichiamo che alcune donne medico, durante la pandemia, hanno lavorato fino al giorno prima di entrare in sala parto, mentre altre hanno lasciato la professione perché non hanno trovato sostituti”.
“Quindi i termini medica e chirurga non possono bastare, come un lifting, a nascondere la verità della condizione del lavoro femminile nel nostro Paese che riguarda le donne tutte, comprese quelle medico” conclude.
Ufficio Stampa